"L'ipotesi che queste ceppaie abbiamo più di mille anni - ha spiegato nel corso del convegno organizzato ieri mattina a Palazzo Mauri dal Wwf e dall'Università della Tuscia - ci spinge a supporre che quello di Monteluco fosse il vero, e in un certo senso il principale, bosco sacro dei romani."Del resto, come è noto, a testimonianza del legame religioso che univa gli antichi romani al Monteluco ci sono le due lex luci spoletine. Due iscrizioni risalenti al III secolo a.c. in cui vengono elencate le pene previste in caso di profanazione del bosco dedicato a Giove. Comunque nell'attesa delle analisi con il metodo del carbonio 14, i ricercatori della Tuscia in sinergia con il Wwf hanno proceduto alla catalogazione di alcuni lecci presenti nel bosco sacro. Una sorta di censimento che ha rilevato 5 piante con una età molto prossima ai 500 anni, altre 5 databili tra i 300 e i 400 e 20 con un età compresa tra i 200 e i 300 anni. Ma anche questo lavoro, come ha spiegato il professore Schirone, non è stato affatto agevole.
"Ostacoli di natura tecnica e biologica - ha spiegato Schirone - impediscono la datazione dei lecci attraverso i prelievi più tradizionali, dal punto di vista biologico questa pianta non produce un anello ogni anno per cui con un campione estratto il rischio è quello di sovrastimare l'età del leccio; dal punto di vista tecnico invece il legno del leccio è durissimo per cui l'operazione di carotaggio è improba. Senza contare - ha proseguito il professore - che qui siamo di fronte ad un bosco monumentale, sacro, e anche se le ferite per i campionamenti non sono dannosi abbiamo preferito evitarle, valutandole come improprie per il caso specifico."Il metodo utilizzato per catalogare i lecci di Monteluco è piuttosto complesso, comprendendo indici di accrescimento medio ed equazione astruse per chi con gli studi scientifici non ha troppa dimestichezza
Chiara Fabrizi
Corriere dell'Umbria Domenica 20 Novembre 2011
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